16 febb 2022 Il delitto di estorsione si configura nell’ipotesi in cui, il datore di approfitti della situazione del mercato del lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell’offerta sulla domanda, costringendo i lavoratori, con la minaccia di licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate.
Nel caso, i lavoratori ricorrono in Cassazione contro la decisione della Corte di merito che, nel confermare la sentenza di primo grado, aveva assolto il datore di lavoro dall’estorsione contestata perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
La Corte di appello ha fatto propria la ricostruzione del tribunale, che ha riconosciuto come i lavoratori in questione a detta dei numerosi testimoni prestassero il proprio servizio oltre l’orario di lavoro, in maniera sostanzialmente ininterrotta (anche per venti ore al giorno), espletando compiti non inerenti alle loro mansioni, subendo le continue vessazioni, senza che venisse loro corrisposta la retribuzione delle ore lavorative effettivamente espletate. Risulta, peraltro, come il rispetto di tali condizioni di lavoro non retribuite venisse posta come opzione alternativa alla prospettazione per i lavoratori della “libertà” di lasciare il proprio impiego.
I giudici riconoscono che la compresenza di tali elementi indurrebbe a ritenere configurata l’estorsione così come contestata nel capo di imputazione, ma ritengono di superare gli insegnamenti della Corte di legittimità sul punto osservando che: le e-mail in atti «non evidenziano tale connotato minaccioso, in esse, infatti, il datore di lavoro, dopo avere impartito delle direttive, specifica che “…se qualcuno non è d’accordo è libero di andarsene…» facendo, quindi, esplicito riferimento alla libertà decisionale del lavoratore, nel caso in cui lo stesso non condividesse le direttive impartite, non potendo tali espressioni interpretarsi come minaccia di licenziamento, neppure larvata»; perché «nella fattispecie, non sono stati acquisiti elementi volti a rappresentare una peculiare condizione di debolezza delle persone offese, per le particolarità del contesto economico e, specificamente, del settore alberghiero sulmonese, nonché dell’ambiente familiare di provenienza».
In appello, il giudicie esclude, quindi, la sussistenza della minaccia facendo leva sulla possibilità di scelta lasciata al lavoratore dal datore di lavoro, quanto alla possibilità di proseguire il rapporto di lavoro o di rispettare le (ingiuste) condizioni di lavoro, siccome descritte.
Ciò premesso, la Corte di Cassazione ha osservato che, integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione del mercato del lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell’offerta sulla domanda, costringe i lavoratori, con la minaccia larvata di licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate.